sabato 14 marzo 2015

LUCANIA LUCIS

Giuseppe Pedota - Artista e Poeta
(1933-2010)
Canto XIV tratto dal poema Lucania Lucis (G. Pedota "Acronico", n. spec. Poiesis 32, Ed. Scettro del Re, 2005)
*
e il vento qui sovrano s’alza
improvviso
orgasmico pensiero d’un dio folle

Genzano è sempre un’Itaca
delle mie vele corrotte a dolci approdi
come l’ultima estate
nel vallone dei greci a Capodacqua

l’alba nella voragine turchese

salendo gli occhi sui dirupi
dell’Annunciata e Convento everest sacri
di macerie ed archi di antiche Clarisse
l’indaco spossato della notte
si abbandona nella nuova luce
ed acqua sorgiva diluiva i miei colori
d’affresco per l’icona bizantina

poi la leggenda degli occhi del bambino
extraterrestre che le sterili
donne si fascinava per indurle gravide

l’antica Gentius ancora scende
dai tre valloni butterati in grotte
umide d’aglianico

il maniero normanno ha il cuore
nel monastero trecentesco di Sancia

roccaforte longobarda
poi normanna e sveva
vede lontano tra le macerie tozze
del Monteserico castello
i roghi e l’urlo di battaglie
tra Annibale e Marcello
tra Spartaco e i romani
tra bizantini e normanni

il basso baluardo di Murge
cornicia la grande piana
che dorme sull’orlo di spighe
dove orizzonti di terra si fingono cielo
e la medusa dei desideri
di sera si raccoglie sul sentiero
dell’oraziana “fons bandusiae”
per il miracolo dei tramonti sul Vulture

dagli oracoli d’una nuova mitologia
uomini folli che bevvero
l’acqua che ora scivola
ai piedi di Cerere

dalle surreali vocazioni all’iperbole
all’apostasia d’ogni atto e dogma

tutto qui mi germinò e si evolse
nella parabola seduttiva di millenni
dal riso di Pitagora alla fiera
malinconia di despoti geni della parola
del colore e del segno
stimmate roventi sul segnale delle stelle

Genzano ha umori veloci come nuvole
che attendono impenitenti narcisi
di specchiarsi in un chiaro lago
dove indovineranno nel fondale
antiche masserie ed una folla
d’entità che ci giocano ancora
vecchi trucchi di feroci aforismi
mentre vincono a carte con il diavolo

ricordo ancora l’ultima tornata

“passo” disse spirando don Antonio
con un poker in mano già servito

lo posero gli amici nella terra
con un asso
e d’allora giocarono col morto

ora l’ultimo vecchio mi confida
l’ansia di andarsene
perché lassù ci giocavano col vivo

così si capovolsero fortune
tra sghignazzi degli uomini e anatemi
di madri defraudate

qui savonaroliani preti fuggirono
con amanti perdute

i cafoni si armarono di zappe
all’ennesimo furto di dipinti e codici
miniati pronti ad avidi mercanti
e disperando il raccolto
chiusero le notti in segreti riti pagani
quando un sole scoprì decapitata
la Cerere romana

ora seguo il passo dei nibbi
su tutti gli occhi che chiusi
del mio sangue

sulla fredda collina a ognuno ho dato
il nome e il segno d’un colore
mosaico d’amore per questa terra






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